Vincente. La stagione appena conclusasi per la
NBA era stata davvero vincente. La vittoria dei
New York Knicks, le finals con protagonisti i
Los Angeles Lakers e tutto quello che era successo durante la stagione, aveva ulteriormente alzato il livello di interesse verso la lega, che iniziava seriamente ad incalzare per ricavi ed ascolti, la
NFL e la
MLB.
E
Walter Kennedy aveva deciso di monetizzare nel miglior modo possibile questo successo.
Soprattutto alla voce diritti televisivi. Così nella post season, decise di aprire un'asta vera e propria. Chi voleva la NBA come prodotto televisivo doveva pagare, e pagare molto bene. L'offerta migliore venne fatta dalla
CBS, ed il contratto venne firmato con soddisfazione reciproca. Kennedy aveva reso la NBA una lega ormai economicamente solidissima, e questo non era altro che la ciliegiona sulla torta. Non c'era nessuna squadra che avesse problemi di natura economica, e se mai fossero sopraggiunti erano state studiate le giuste contromosse per evitare chiusure e fallimenti. Si percorrevano altre strade. Era quello che differenziava la NBA dalla rivale ABA, che se anche riusciva ogni tanto a calare qualche asso, indiscutibilmente stava andando verso sud, almeno a livello economico.

Certo non era passato in secondo piano il fatto che in quell'estate si era creato l'ennesimo scontro tra le due leghe per un giocatore. E che giocatore.
Wilt Chamberlain. I San Diego Conquistadors annunciarono di averlo firmato come giocatore/head coach, per la modica cifra di 600.000 $ annui. Solo che i Los Angeles Lakers avevano esercitato la clausola della team option sul centrone prodotto da Kansas, per cui, anche legalmente, non avrebbe potuto giocare da altre parti senza la loro approvazione. Finì in pratica in parità. La NBA salutava Chamberlain, anche in malo modo, le parti si sarebbero ritrovate più avanti, ma la ABA non vide mai le gesta del Wilt giocatore.
Per Kennedy la perdita di quello considerato universalmente il più grande giocatore di tutti i tempi, ed all'epoca era considerato ancora di più, venne vista come un'opportunità da sfruttare più che come un problema da risolvere. Bisognava puntare sui cavalli giovani, sulle nuove leve.
Così, con questi buoni propositi il 24 Aprile 1973 si tenne a New York il draft. Draft che nacque con qualche polemica per l'affaire Brisker.
John Brisker era stato firmato dalla ABA dai
Seattle Supersonics, ma i diritti NBA del giocatore erano di proprietà dei Sixers. Per questo Kennedy decise di punire i Sonics dando come risarcimento a Phila la scelta #4, quella di Seattle. Ma
Sam Schulman, l'owner dei Sonics, non era uomo da imposizioni dall'alto, per cui si rivolse ancora una volta alla giustizia federale, vincendo la causa. La scelta #4 rimase nello stato di Washington. Così la NBA decise di dare una prima scelta in più con la # 18 ai Sixers. Che con la #1 scelsero
Doug Collins. #2
Cleveland Cavaliers-
Jim Brewer, #3
Buffalo Braves-
Ernie Di Gregorio. Altri giocatori da ricordare, per motivi NBA più o meno validi sono #5
Kermit Washington-
Los Angeles Lakers, #18
Ray Lewis-
Philadelphia Sixers, #20.
Mike D'Antoni-
Kansas City Kings, #50
Larry Kenon-
Detroit Pistons.

In quella estate ci fu anche una rilocalizzazione.
Abe Pollin, il vulcanico proprietario dei Bullets, vista l'impossibilità di costruire una nuova arena a Baltimore decise di muovere baracca e burattini verso la capitale, Washington D.C., precisamente a Landover, uno dei suoi sobborghi, dove costruì la
Capital Centre Arena, rinominando la franchigia in
Capitol Bullets.
Prima dell'inizio della regular season Kennedy fece anche un cambiamento regolamentare. Rimanevano due Conference e quattro Divison, ma facevano fede i record di conference per le prime quattro ai playoff. Venne anche deciso di varare le classifiche di specialità per stoppate e palle recuperate. Adesso tutto era pronto davvero, ed il 9 Ottobre, Martedì, i Capitol Bullets fecero visita agli
Atlanta Hawks per l'opening game.
EASTERN CONFERENCE: nella
Atlantic Division e nella Conference dominio dei
Boston Celtics di coach
Tom Heinshon. Già rodati dall'anno precedente, i Celtics fecero una stagione eccezionale.
John Havlicek e
Dave Cowens su tutti,
Jojo White e
Paul Silas ottimi elementi di complemento. Una solida rotazione ad otto, con sei in doppia cifra. Sembravano tornati i vecchi Celtics. Nella Division altre due franchigie trovarono i playoff. I campioni in carica
New York Knicks di coach
Red Holzman, 49-33, fecero la solita stagione, anche se si capiva che il viale del tramonto per tanti, troppi giocatori era già iniziato.
Willis Reed giocò pochissimo,
Jerry Lucas non riuscì più ad incidere.
Dave DeBusschere annunciò il ritiro a fine stagione a Gennaio. Rimaneva il duo
Walt Frazier-
Earl Monroe, con
Bill Bradley, ed il solito gioco di squadra, ma senza Reed i problemi difensivi erano tanti. Anche i
Buffalo Braves raggiunsero per la prima volta nella loro breve storia i playoff. 42-40 il record e #4 nella Conference. Coach
Jack Ramsay aveva creato una macchina da guerra offensiva incredibile, con il leading scorer
Bob McAdoo su tutti, con
Ernie Di Gregorio assist man dell'anno e
Rookie Of The Year, con il neo arrivato dai Lakers
Jim McMillian, l'altro veterano
Jack Marin e
Randy Smith abbondantemente in doppia cifra per punti. Nella
Central i
Capitol Bullets, 47-35, vinsero la Division e presero la #2. Era arrivato un nuovo coach,
K.C. Jones, che aveva cambiato qualcosa nel sistema offensivo, dando più spazio ad
Elvin Hayes ed al giocane play
Kevin Porter.
Wes Unseld visse una stagione costellata da continui infortuni al ginocchio, mentre
Phil Chenier ed
Archie Clark non fecero mancare il loro apporto.
WESTERN CONFERENCE: anche qui una Division su tutte, la
Midwest, con tre squadre su quattro ai playoff. I
Milwaukee Bucks vinsero la conference con il miglior record della lega, 59-23. Coach
Larry Costello aveva una macchina perfettamente oliata, dietro a
Kareem Abdul Jabbar,
MVP della Regular Season e nuova stella assoluta della NBA.
Oscar Robertson era però decisamente a fine carriera, ma
Bob Dandirdge e
Lucius Allen, al contrario, continuavano a crescere diventando fondamentali. Secondi i
Chicago Bulls, 54-28. Coach
Dick Motta ogni anno riusciva a migliorare qualcosa nel gioco dei suoi ragazzi, e
Cliff Ray fu un arma in più accanto al solito trio,
Love-
Sloan-
Walker. Poi la sorpresa della Conference: i
Detroit Pistons, ai playoff con la #4. Coach
Ray Scott vinse il premio di
Coach Of The Year, 52-30 alla fine.
Dave Bing ritrovò i playoff dopo anni, grazie alla splendida stagione del centrone
Bob Lanier,
MVP dell'All Star Game. Nella
Pacific Division solo i
Los Angeles Lakers, vincendola, centrarono la post season. 47-35 il record, coach
Bill Sharman alle prese con il post Wilt e con gli infortuni continui di
Jerry West. Arrivati
Connie Hawkins ed
Elmore Smith, spazio a
Gail Goodrich ed
Happy Hairston, ma squadra corta e troppo leggera.
Ad est i playoff videro un primo turno con i Celtics che, mettendola sulla difesa dura, riuscirono ad imbrigliare l'attacco Braves, 4-2 e finali di conference. Bullets vs Knicks arrivò invece alla settima. Con New York che si affidò alle solite due guardie per vincere gara 7, approfittando dei soliti problemi fisici di Unseld. Le finali di Conference non ebbero storia, troppo superiori i Celtics, troppo forte il duo Havlicek-Cowens, 4-1 e Boston che torna alle Finals.
Nella Western Milwaukee spazzò via 4-1 i Lakers al primo turno. Non ci fu forza competente per contenere Jabbar, troppo superiore per qualsiasi pari ruolo Lakers. I Bulls invece impiegarono sette durissime partite per aver ragione dei Pistons. Ma pagarono lo sforzo e anche loro l'assenza di risposte al #33 Bucks venendo spazzati via 4-0 nelle finali di Conference.
Finals Celtics at Bucks.
Con Milwaukee grande favorita.
Non si capiva come un centro undersize come Cowens, 205 com, forse, potesse difendere contro i 218 cm di talento e classe pura di Abdul Jabbar. L'idea di Heinshon fu quella di sacrificare Cowens in continua difesa uno vs uno, ma di non mettere in partita in vari Dandridge, Allen e Robertson. E l'idea pagò dividendi. Furono sette partite intensissime, tutte risolte con minime differenze di punti, con i Celtics al match point casalingo in gara 6, e Garden gelato al secondo overtime dal classico skyhook di Jabbar, ma da quasi sei metri. Gara 7 a Milwaukee fu un capolavoro tattico dei Celtics. Che raddoppiarono Jabbar come non avevano mai fatto prima, lasciando spazio soprattutto a Robertson, che non lo sfruttò. Poi Havlicek, Cowens, un martello dal post alto, e Jojo White misero i chiodi sulla bara Bucks, 4-3 e l'anello tornava in Massachussets, prima volta nell'era post Bill Russell.
John Havlicek venne nominato
MVP delle Finals. Sembrava l'inizio di una nuova dinastia. Arrivederci alla prossima puntata.
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