City Edition: San Antonio Spurs, this is the end

La striscia consecutiva di presenza ai Playffs potrebbe interrompersi quest'anno per i nero-argento, squadra senza testa e cosa in mano a due giocatori incompleti.

Scritto da Doc. Abbati  | 

Stagione NBA 1996/97. I San Antonio Spurs chiudono con un record di 20-62, peggio di loro solo i Boston Celtics ed i Vancouver Grizzlies, e restano lontanissimi dalla zona playoffs. E quella stagione è storica per due motivi. Intanto perché il 10 Dicembre 1996 nella trasferta di Phoenix fa il suo esordio da head coach, subentrando al licenziato Bob Hill, il G.M. della franchigia, Greg Popovich. Poi perché è l’ultima in cui nella post season non compare il nome Spurs. A partire dalla stagione 1997/98 e per le successive ventuno, i neroargento texani approdano sempre ai playoffs, con cinque titoli vinti in sei finals raggiunte. Nel mondo NBA se si pensa ad un sistema vincente, la mente non può non andare a San Antonio, ed al duo Greg Popovich & R.C. Buford.

Anche perché, per dovere di statistica, i due fanno parte dell’organizzazione Spurs dal 1989, e la stagione 1996/97 rimane comunque l’unica in cui i due non sono andati alla post season. Da assistant coach, da G.M., o da vice G.M. E se Buford una stagione sabbatica se l’è presa, 1993/94, Popovich è sempre rimasto presente nella città di Forte Alamo.

Ma tutte le storie sportive, specie quelle professionistiche USA, hanno una fine. Un punto da cui si deve per forza cadere, per poi cercare di ripartire per tornare vincenti. Certo a San Antonio sono sempre sembrati restii a rispettare questa tradizione. Sono anni che gli addetti ai lavori li danno come fuori dalla post season, sbagliando il pronostico. Ma quest’anno tutto sembra far credere che per coach Popovich le vacanze possano iniziare dalla prima metà di Aprile.

Attualmente il record recita 23-31, decimi nella Western Conference a cinque partite di distanza dall’ottavo posto. Ipoteticamente ancora raggiungibile, ma per quello che si è visto sul parquet fino ad adesso, le fantomatiche cinque partite sono la punta di un profondissimo iceberg. Ed anche non arrivare ai playoffs potrebbe essere solo l’inizio di una parabola discendente. Perchè ultimamente a San Antonio sembrano essere venute meno le idee.
Il tentativo di fare squadre che potessero ambire per forza alla post season, ha fatto si che venissero presi giocatori di medio livello, per integrarli con veterani, giovani e presunte prime punte di alto livello, nella speranza che il famigerato sistema coprisse le eventuali falle. Ma il tutto si è rivelato una coperta corta, che se nelle ultime due stagioni ha comunque portato i playoffs, ha altrettanto creato equivoci e attese troppo elevate rispetto al livello del roster presente.

E’ indubbio che coach Popovich sappia tirare fuori da chi gioca per lui il massimo, e da qualcuno anche di più. Così come è altrettanto indubbio che l’affaire Leonard abbia cambiato l’orizzonte degli obbiettivi da raggiungere, ma anche in questa parte del Texas si devono fare i conti con quello che si ha a disposizione. E le delusioni sono superiori alle cose positive. A cominciare dal duo LaMarcus Aldridge-DeMar DeRozan, che non hanno rispettato le aspettative, molto più il primo che il secondo. Aldridge sarebbe dovuto essere una specie di nuovo Duncan, si lo so ho cestisticamente bestemmiato, sulla scia di come era arrivato dall’Oregon. Per tantissimi l’uomo giustissimo nel posto perfettissimo. Ed invece ha fallito, soprattutto alla voce leadership, sparendo miseramente. E DeRozan ha dimostrato di non poter essere un primo violino, ma forse neppure un secondo, in una squadra con ambizioni superiori al qualificarsi per i playoffs.

Così come i giovani. Solo Derrick White ha rispettato quanto di positivo si è detto su di lui, ma stiamo parlando di un discreto/buon giocatore, non certo di un uomo franchigia. E Dejounte Murray ha anche lui fallito la chiamata. Pupillo di Popovich, non ha mantenuto fede alle promesse, dimostrandosi anche lui un giocatore che sicuramente può stare in questa lega ma non con un ruolo da assoluto protagonista.
Certo che viene da chiedersi, e adesso? E la curiosità è davvero tanta. C’è la sensazione che qualcosa stia per succedere da queste parti, sensazione avallata dal fatto che gli Spurs non hanno fatto assolutamente niente con l’approssimarsi della trade dead line, cosa strana per le abitudini della franchigia. Il malcontento intorno a due dei giocatori citati precedentemente è palese, ed in molti prevedono un loro futuro lontano da Forte Alamo.

Ma in cambio di cosa, o di chi?

Ed anche questo argomento crea interrogativi con risposte difficili, perché da parte della dirigenza filtra pochissimo, in perfetto stile Langley, città della Virginia sede della C.I.A., l’agenzia per cui Popovich ha lavorato prima di dedicarsi al basket. Il progetto di ristrutturazione della casa neroargento appare se non misterioso, quanto meno pieno di insidie, con l’unica certezza che dipenderà ancora dal duo immarcescibile Popovich and Buford, comunque una garanzia.

Senza dimenticare che il coach nativo di East Chicago, Indiana, ha appena compiuto 71 anni, 28 Gennaio 1949, e prima o poi dovrà cedere lo scettro da head coach. Ma difficilmente al suo sostituto, o alla sua sostituta, non sottovalutiamo questa possibilità concreta, non lascerà un preciso percorso da seguire, perché da queste parti c’è un’ abitudine a vincere, o a giocare per farlo, da cui è difficile guarire. Sarà una off season 2020 davvero interessante a San Antonio.


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