Dallas Cowboys 2019, anatomia di un fallimento

Puntavano al SuperBowl con un poster competitivo ed il miglior attacco della Lega ma i Cowboys hanno miseramente fallito senza neache raggiungere i Playoffs.

Scritto da Fabio Gabrielli  | 

Puntavano al SuperBowl con un poster competitivo ed il miglior attacco della Lega ma i Cowboys hanno miseramente fallito senza neache raggiungere i Playoffs. Qui analiziamo la drammatica stagione dei 'Boyz-

In una passata edizione dei miei "4 verdetti" settimanali avevo citato alcune statistiche dei Cowboys non capacitandomi di come, nonostante le stesse fossero più che lusinghiere, i texani si trovassero impantanati in una lotta a chi faceva più schifo con gli Eagles. E anche riguardando quei numeri la sensazione di smarrimento rimane più che viva: l'attacco, il migliore della NFL per yards guadagnate, la difesa in una solida posizione da top ten; ancora, Dak Prescott quasi 5000 yards lanciate e Ezekiel Elliott con oltre 1350 yards corse. 

Con questi numeri penseremmo di avere a che fare con una squadra. che nel corso del weekend playoff di Wild card, sia sistemata sul proprio divano per studiare il prossimo avversario del Divisional e non sia, invece, affogata in una tempesta di rimpianti, con sul groppone uno scadente 8-8 di record e rassegnata a vedere gli Eagles godersi un gennaio da protagonisti. 
 
Cerchiamo allora alcune delle ragioni di questo fallimento indagando fra le pieghe di statistiche, come detto, più che positive. 
 
Un primo aspetto va individuato nella gestione di alcune partite perse in maniera tragicomica. Le sconfitte contro i Jets e i Bills (quest'ultima in Thanksgiving e di fronte ad un audience nazionale) sono risultate poi decisive in termini di record finale e l'aver mancato altre chance importanti contro i Vikings e i Saints (privi di Brees) han impedito di fornire quel "filotto" di vittorie che, in momenti di diversi della stagione, hanno bloccato quello che poteva essere un decollo decisivo. 
 
Paradossalmente una Division scarsa come la NFC East (degli Eagles abbiamo detto, su Giants e Redskins meglio stendere un velo pietoso) ha poi poco motivato la squadra texana instillando il pensiero che, in un modo o nell'altro, il successo nel girone sarebbe arrivato (per mancanze altrui, quantomeno) non creando, quindi, un senso di urgenza che hanno avuto altre franchigie della NFC (penso ai Vikings o ai Seahawks intenti ad inseguire Packers e 49ers). 
 
A livello di giocatori mi concentro su Prescott. Partito ad inizio anno con (l'insensata) richiesta di un un contratto pluriennale da oltre $40 milioni di dollari l'anno (che lo avrebbe reso il più pagato della Lega davanti a gente di cui non serve che vi faccia il nome), l'ex Mississippi State ha subito mostrato, al di là della tonnellata di yards lanciate, di mancare nei momenti decisivi, nei drive finali, nei momenti della partita in cui la sua squadra entrava in redzone (con la conseguenza di avere tanti drive finiti con pochi punti sul tabellone). 
 
E la dimostrazione plastica della cosa è stata l'ultimo drive contro gli Eagles finito in un incompleto su un lancio impossibile per Gallupp nella endzone degli Eagles a chiudere la stagione nella maniera più ingloriosa possibile. Intendiamoci, Prescott ha qualità ma non vale i soldi che chiede e nonostante i buoni numeri di quest'anno, dovrà di molto abbassare la cresta se vuole rimanere al centro dell'attacco di Dallas.
 
Sul discorso coaching/proprietà è sintomatica, infine, la gestione di Jason Garrett in questi giorni. Con tutte le squadre già sistemate in termini di licenziamenti o conferme dei vari Head Coach, Jerry Jones è al terzo incontro con il suo allenatore capo, in una situazione che è incomprensibile ai limiti del grottesco. Il tempo di Garrett in Texas è decisamente finito ed è inconcepibile come ci sia ancora spazio per una trattativa, una discussione, un'analisi che non portino all'immediata rimozione dello stesso coach dal suo incarico. 
 
La verità è nella voglia di Jones di tenersi il controllo del giocattolino a tutti i livelli possibili, aziendale/gestionale (dove è il numero #1) e tecnico (un po' meno #1). Proprio questo secondo aspetto è realizzabile solo in presenza di un coach "controllabile" dall'alto, proprio quello che Garrett sostanzialmente è (e rido al pensiero di chi vedrebbe bene in Texas uno come Urban Meyer). Io credo che lo scopo di questo balletto sia quello di far uscire lo stesso coach nella maniera più soft possibile (magari re-indirizzandolo ad altro ruolo all'interno della franchigia) cercando poi, a Dallas, un coach che caratterialmente possa essere, in termini di subalternità alla proprietà, un copia incolla dello stesso Garrett. 

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