Los Angeles Lakers 2021/22: cronaca di un fallimento annunciato

Puntavo a lottare per il titolo invece neanche al Play-In sono arrivati i gialloviola in una stagione snervante e problematica.

Scritto da Doc. Abbati  | 
Getty Images

Puntavo a lottare per il titolo invece neanche al Play-In sono arrivati i gialloviola in una stagione snervante e problematica.

Con la sconfitta di martedì notte contro i Phoenix Suns i Los Angeles Lakers hanno definitivamente visto tramontare ogni speranza di arrivare ai Play-In, e di conseguenza, in caso di doppia vittoria, ai playoff.
Come definire se non fallimentare questa stagione losangelina, sponda gialloviola. Anche perché, viste le premesse, secondo molti, purtroppo anche addetti ai lavori, la off season dei Lakers era meritevole di attenzioni, tanto da proiettarli, senza nessun dubbio di sorta, come una delle grandi favorite, se non addirittura LA favorita, per vincere l’anello. 

Specie dopo la trade del 6 agosto 2021, con l’arrivo alla corte di Lebron James ed Anthony Davis, di Russell Westbrook. Questo nuovo big three, secondo alcuni fans, era quanto ci voleva per (ri)portare il titolo ai Lakers, dopo la cocente delusione derivata dall’eliminazione contro i Suns al primo turno di playoff nel 2021.

E gli scettici che non vedevano di buon occhio la sopra citata trade, che andava ad intasare ulteriormente il salary cap, impedendo la costruzione di un roster quanto meno equilibrato, venivano etichettati alla meno peggio come hater, di cosa e/o di chi poco importava. Anche perché su quel movimento di mercato, così come su altri specie alla voce firme dei free agent, c’è stata la benedizione, dall’alto, del leader maximo dei gialloviola, LeBron James ovviamente, a cui la dirigenza ha indubbiamente lasciato troppa carta bianca, specie nel dettare gli umori delle scelte da fare per creare il roster per la stagione 2021/2022. Poi è arrivato, però, il giudice ultimo rispetto alle off season: il campo.

E una regular season lunga e complicata come quella NBA non perdona scelte sbagliate e azzardate. E la stagione  Lakers è andata a picco abbastanza velocemente. Da subito si è visto che la convivenza James-Westbrook era abbastanza complicata da gestire. A questo sono seguiti i continui infortuni di Davis, questo però non esattamente una novità, e soprattutto l’incapacità da parte di coach Vogel e del coaching staff di dare una idea di gioco offensiva, e di dare regole chiare difensive. Ma d’altra parte che cosa ci si poteva aspettare da un roster costruito davvero male, senza tiratori degni di nota, senza difensori degni di nota, e senza lunghi capaci di essere forti sui due lati del campo?!

Le scelte 

La scelta di prendere tanti, troppi veterani al minimo salariale, peraltro unica cosa da poter fare visto il cap, si è rivelata fallimentare. Anche perché, sinceramente, pensare che due giocatori come Westbrook e Carmelo Anthony, incapaci di vincere nel prime time della loro carriera, per motivi non esattamente di natura tecnica, potessero, a questo punto della loro vita cestistica, trasformarsi in vincenti, o, addirittura, in giocatori di squadra, in grado di creare la famosa amalgama e di cementare gruppo, sui due lati del campo...era pura follia o malsano ottimismo.

Ed a Los Angeles troppo presto hanno iniziato a cavalcare la stagione dei record di James come ancora di salvezza, per cercare di trovare qualcosa di positivo mentre la nave stava affondando. Sempre che i numeri messi insieme dal #6 possano essere messi dalla parte delle cose positive di questa annata cestistica. Perché fino a prova contraria, il basket resta ancora un meraviglioso sport di squadra.

E spesso lo specchietto per allodole del “guardiamo il fenomeno” che ad una certa, veneranda, cestisticamente parlando, età, compie prodezze statistiche memorabili, è utile per far distogliere lo sguardo dai problemi reali della franchigia. Ed i Lakers già in passato hanno compiuto questo drammatico errore.

Anzi questi errori.

Seguire le indicazioni sul mercato e le trade del leader in campo di turno, come se fosse anche capace di fare il General Manager, e, quando tutto va a donnine di facili costumi, cavalcarne il nome altisonante e le prestazioni per sperare che i fans riescano a bere l’amarissimo calice.

I 4 anni sotto LeBron

No, la storia non ha insegnato niente. Per ora gli anni lebroniani dei Lakers sono lì, sotto gli occhi di tutti, con due stagioni di playoff non centrati, una eliminazione al primo turno, dopo averli raggiunti via playin, ed un titolo, quello del 2020, quello della bolla di Orlando, della stagione contrassegnata dalla lunga sospensione per Covid, ed anche, precedentemente, dalla tragedia di Kobe Bryant, che per molti è un titolo vinto su cui bisognerebbe mettere un asterisco.

Quattro anni caratterizzati da una serie infinita di cambi di giocatori a roster che difficilmente fa rima con creazione di squadra destinata ad avere stagioni vincenti, alla disperata ricerca di un gruppo che potesse vincere, ma senza costruire niente, senza cercare giocatori giovani, senza prendersi dei rischi positivi.

Per fare questo serve una dirigenza che sappia (ri)prendere in mano la capacità gestionale e decisionale per creare una squadra, vera. E se si dovrà cedere qualcuno, che lo si faccia, senza andare troppo per il sottile. È chiaro che il ruolo di LeBron James nei futuri Lakers sarà ancora una volta centrale. Ma deve esserlo solo sul campo, dove ha dimostrato di poter dire, eccome, ancora la sua.

Così come è altrettanto chiaro che a pagare sarà anche coach Vogel. Sperando che chi arriverà al suo posto sappia dare un gioco non esattamente "Lebroncentrico" alla squadra, dando regole offensive, e, fondamentali, anche difensive.

E che ci si liberi di chi si è dimostrato un fallimento, tecnico, ed anche, purtroppo, fisico. Se si deve ripartire, che si riparta da zero. Solo così si potrà cercare di trovare la strada per tornare vincenti per questi Los Angeles Lakers.


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