Thursday Doc: Ricky Berry

Una storia tragica, un altro “What if”, un’altra carriera potenzialmente importante chiusa tragicamente troppo presto. Oggi ci occupiamo di Ricky Berry

Scritto da Doc. Abbati  | 

NBA-Evolution

Una storia tragica, un altro “What if”, un’altra carriera potenzialmente importante chiusa tragicamente troppo presto. Oggi ci occupiamo di Ricky Berry.

Draft 1988. Con la #18 i Sacramento Kings selezionano da San Josè State University, Ricky Allan Berry. Guardia di 203 cm. per 95 kg., tiratore nato, che non disdegna di attaccare il canestro, è cresciuto masticando pallacanestro sin da bambino. Perchè suo padre, William Edward, ma per tutti Billy, Berry, oltre ad essere stato il suo coach nei tre anni trascorsi a SJSU, ha avuto un ruolo importantissimo a Michigan State University, da assistant, nell’anno della vittoria del titolo NCAA con in campo Earvin Magic Johnson.

Ricky Berry nasce a Lansing, Michigan, appunto, il 6 Ottobre 1964. Ma del Michigan ha pochissimi ricordi, perché la famiglia nell’estate del 1964, si sposta a Sacramento, California, perché papà Billy accetta il ruolo di head coach a Consumns River Junior College, università pubblica della capitale dello stato dell’oro. Ricky cresce mangiando pane e basket. Ed è anche portare sano di un talento cristallino.

A Morgan Hills High School, scuola superiore situata nella baia di San Francisco, è il leader assoluto per punti, rimbalzi e pct. di tiro da oltre l’arco. Attira le attenzioni di molte università della costa ovest degli Stati Uniti e non solo. Ma decide di andare a Oregon State University. Nel frattempo il padre, reduce dalla splendida avventura a Michigan State, accetta di diventare head coach a San Josè State University. Così, dopo un anno nell’Oregon non esattamente da ricordare, Ricky chiede il transfer va a giocare per il padre.

E agli Spartans, il nickname di SJSU, Berry riprende il percorso leggermente abbandonato nella stagione da rookie nella NCAA. Dopo l’anno sabbatico in cui non può giocare per aver cambiato college, esplode in tre stagioni meravigliose, che lo rendono il leader ogni epoca in punti segnati, pct, di tiro dal campo e da tre punti, tiri segnati, da due e da tre. Un ragazzo nato per fare canestro. In tutta la nazione si parla molto bene, viene pronosticato come una scelta tra le prime dieci.

Ma, se tecnicamente non si discute, qualcosa non entusiasma i G.M. delle squadre che lo visionano nel pre draft, alla voce testa. Il ragazzo sembra essere molto, anzi troppo, legato a casa sua, e non stiamo parlando solo della California, ma proprio di Sacramento. Lo dimostrano più cose. I continui viaggi fatti da Morgan Hills a casa durante il periodo nelle high school, e l’anno non entusiasmante fatto in Oregon, figlio di una nostalgia di casa fin troppo esasperata. Ricky, inoltre, si è sposato giovanissimo con la fidanzata di sempre, Valerie, cresciuta anche lei nella capitale della California, e che per motivi di studio non vuole abbandonare.

Questi fattori generano molte voci per cui Berry non viene scelto da nessuna squadra fino alla #18. Quando tocca ai Kings. E Bill Russell e Greg Van Dusen, Executive e vice presidente, decidono di chiamarlo. I Sacramento Kings sono una squadra giovane alla ricerca di una nuova identità. Ci sono giocatori di indubbio nel loro roster, da Kenny Smith a Ed Pinckney, da Wayman Tisdale a Harold Pressley, passando per LaSalle Thompson e Derek Smith. E durante la stagione arriverà dai Celtics, Danny Ainge. Il coach è Jerry Reynolds, alla sua prima vera stagione da capo allenatore su una panchina NBA.

La stagione da rookie di Ricky Berry è simile a quella di tanti giocatori che entrano nella lega per la prima volta nella loro carriera. Partenza lenta, poi il talento inizia ad emergere, ed il finale di stagione, giocato senza nessuna pressione legata ad obbiettivi da raggiungere, è assolutamente entusiasmante. Il ragazzo chiude l’anno a 11 pts. di media a sera, con 3 rimb., tirando con il 50% dal campo, ed il 40% da tre punti. Nelle ultime dieci partite viaggia a quasi 20 pts, ad allacciata di scarpe, compresi i 34 con sette triple, all’epoca record di franchigia, nella vittoria contro i Warriors ad Oakland.

A Sacramento sono entusiasti di lui sotto tanti punti di vista. E’ giovane, talentuoso, dotato di grande intelligenza cestistica, ma anche grintoso e determinato ad emergere. Durante un allenamento, ad esempio, è protagonista di una rissa con il veterano Derek Smith, e non fa un passo indietro, guadagnandosi il rispetto di tutti.

Ed anche nell’entourage Kings si è creato una serie di amicizie importanti. Frequenta tanto Kenny Smith e Ed Pinckney, oltre a Henry Turner ed a Bobby Gerould, figlio del play by play announcer della squadra Gary. Tutto sembra andare bene nella vita del ragazzo che sembra essere destinato ad una carriera addirittura da All Star, secondo gli addetti ai lavori dell’epoca. Anche a livello economico, con la firma di un triennale che lo vede guadagnare 300.000 $ nel suo primo anno. Ma qualcosa non funziona nella testa del giocatore. I rapporti con il padre si sono incrinati, peggiorati ulteriormente dal fatto che Berry Sr. è entrato a far parte dell’organizzazione Kings come assistant coach e scout. Il padre gli rimprovera una scarsa predisposizione al risparmio, dovuto soprattutto all’acquisto della nuova casa costata 350.000 $, lontana due ore di macchina da dove vivono i suoi genitori.

E questa lontananza con mamma Clarice si fa sentire, perché il ragazzo va spesso a trovarla, essendo visceralmente legato con lei. Nascono anche problemi all’interno della vita matrimoniale, dovuti alle continue assenze del giocatore di Sacramento, sia per gli impegni sportivi che per le visite ai genitori,e, in ultimo, per la gestione economica della coppia. Di queste cose parla in continuazione ai suoi amici/compagni, a volte anche in maniera esasperante. Non sembra essere in grado di subire la pressione del dover giocare nella NBA, dove si vive viaggiando per mesi, e del dover gestire così giovane una famiglia, anche da un punto di vista economico. Cerca una valvola di sfogo in una passione nata all’università, quella per le macchine veloci e per la velocità in genere. Parlando con Kenny Smith sostiene che se non gli dovesse andare bene nella NBA, il suo sogno alternativo è quello di diventare un pilota NASCAR. E si diverte molto a guidare ad alta velocità nel parcheggio della Sleep Train Arena, o Arco Arena II per impressionare i compagni di squadra. Ma anche questo sembra essere un gioco pericoloso, in cui Berry cerca un limite oltre cui andare.

Si arriva al 13 Agosto 1989. Nel pomeriggio Berry porta il figlio di 3 anni di Pinckney a giocare in una sala giochi. Poi la sera organizza una festa a casa sua a cui partecipano Bobby Gerould ed altri amici. Bagni in piscina, pizza a domicilio, giocano ai video game. In tarda serata la moglie di Berry rientra a casa, e tra i due nasce una violenta discussione davanti a tutti. Valerie esce di casa dicendo che passerà la notte a casa di un’amica. Quando Gerolud va via, Ricky è arrabbiato e triste per l’accaduto, ma saluta l’amico dicendo che il giorno successivo avrebbe risolto le cose. Il mattino del 14 Turner chiama Berry. Riferirà di aver sentito il prodotto di SJSU tranquillo, parlano degli allenamenti dei Kings, del fatto che probabilmente potrebbero giocare insieme nella stagione che sta per iniziare, Berry lo saluta dicendosi felice della cosa. Al pomeriggio Valerie rientra a casa e trova il marito per terra in salotto in una pozza di sangue. Ricky Berry si è sparato in testa un colpo di pistola. Nessuno sapeva che ne avesse il possesso. La notizia attraversa Sacramento velocemente, lasciando sgomenti tutti.

Si scopre che ha lasciato un biglietto di addio, che rimarrà segreto per anni. Sarà reso pubblica anni dopo. La lettera, scritta parte a mano e parte con la macchina da scrivere ha un titolo, The Undefeated Learned. E’ uno struggente saluto ai suoi genitori, alla sorella minore Pam, alla moglie. Dichiara che le piccole cose negative hanno distrutto il suo matrimonio e la sua vita, e che il suicidio non può essere evitato. E’ la lettera di un uomo incapace di affrontare i sui demoni, che non hanno nome. Poi una serie di rivendicazioni personali, fino alla misteriosa richiesta di fermare la violenza black to black.

Finisce così la breve vita di un ragazzo che sarebbe potuto diventare. Secondo Kenny Smith era Reggie Miller ma più forte vicino a canestro. Noi non lo sapremo mai.

Arrivederci alla prossima puntata.


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