Thursday Doc: Craig Hodges

Oggi una storia leggermente diversa dalle precedenti, una storia doppiamente attuale, oggi ci occupiamo di Craig Hodges

Scritto da Doc. Abbati  | 

Oggi una storia leggermente diversa da quelle raccontate nelle precedenti puntate, una storia doppiamente attuale, oggi ci occupiamo di Craig Hodges.

Per un giovedì evitiamo di parlare di storie che hanno un epilogo tragico, ci occupiamo invece di una vicenda che ha una valenza attuale, e per due motivi distinti. Perchè vogliamo parlare di un giocatore che ha sempre portato avanti una battaglia sui diritti civili degli AfroAmericani negli USA, e che, per questo motivo, arrivò ad avere scontri con Michael Jordan, suo compagno di squadra nei Chicago Bulls, divergenze di opinioni con Magic Johnson e con George Bush Sr., allora presidente degli Stati Uniti, fino ad essere praticamente escluso come un reietto dalla lega per molti anni.

Non una storia di caduta, una storia di orgoglio, di onore o, per dirla come fece lui alla Casa Bianca il 1 Ottobre 1991, come uno che non viene da lei con il cappello in mano a chiedere l’elemosina. E quel lei era, appunto, George Bush. In questo caso non parleremo nemmeno troppo del Craig Hodges giocatore, ci sono volte dove non ce ne deve essere necessità. Anche perché Hodges la storia della NBA l’ha fatta, oltre ad avere vinto due titoli da giocatore con i Chicago Bulls, e due da assistant coach con i Los Angeles Lakers, nella sua seconda vita NBA. Nato a Park Forest, sobborgo di Chicago, come tanti ragazzi che si avvicinano al basket, sogna una carriera professionistica. E questa si concretizza dopo i quattro anni di prammatica a Long Beach State University, dove il nativo di Chicago si mette in mostra come un tiratore, specie da molto lontano, notevole livello. Certo non è altissimo per il ruolo di guardia, 188 cm., ed fare la point guard non è nelle sue corde non essendo un grandissimo passatore.

Terza scelta dei Clippers, all’epoca a San Diego, gioca una discreta stagione da rookie, con un calo, fisiologico nel secondo anno. La svolta inizia dalla terza stagione nella lega, quando finisce ai Milwaukee Bucks. Tre stagioni in doppia cifra per punti, tirando sopra il 45% oltre la linea. La sua fama di tiratore cresce con il passare degli anni. Poi, dopo una breve parentesi a Phoenix, l’approdo a stagione 1988/89 iniziata ai Chicago Bulls di Michael Jordan. Hodges torna a casa sua, e si ritaglia un ruolo importante nella nascita, crescita ed affermazione dei Bulls del primo three peat.
Ma il prodotto di Rich East High School non è solo un giocatore di basket. Sin da giovanissimo è un attivista dei diritti civili degli Afro Americani, grazie alla madre, impegnata in tal senso, che lo porta con se durante raccolte firme, petizioni e nei giri porta a porta per raccogliere testimonianze su discriminazioni, episodi razzistici e similari.

Al college viene chiamato il giovane vecchio, e pur occupandosi prevalentemente di sport, parla costantemente di sportivi che si sono distinti per il loro impegno sociale. Scrive di baseball a proposito di Curt Flood, che rifiutò nel 1969 il trasferimento ai Phillies perché non voleva giocare per dei tifosi razzisti, di boxe citando Mohammed Alì, di basket scrivendo su Kareem Abdul Jabbar, ed il suo idolo nel Football è Jim Brown. Non sorprende che questo tipo di atteggiamento crei qualche problema nei roster delle squadre NBA, e non necessariamente solo tra i giocatori di etnia caucasica. A Chicago torna a frequentare il suo quartiere, è attivo nella comunità, investe i suoi soldi per cercare di migliorare le condizioni di chi sta peggio di lui, invitando altri del suo mondo a seguirlo. E, nel frattempo, non si dimentica di essere un giocatore di basket. Di essere uno dei migliori tiratori della lega. Così bravo che, unico insieme a Larry Bird, vincerà per tre volte in fila, 1990-1991-1992, la gara del tiro da tre punti, stabilendo un record nel 1991, ancora imbattuto, di 19 canestri consecutivi. Ma è proprio nel 1991, anno del primo titolo dei Bulls, che la sua carriera cambia, ed in modo non del tutto positivo, purtroppo per lui. Il 1991 è un anno che definire negativo è ancora poco per gli USA. Post guerra del golfo i disordini razziali erano tornati ad emergere prepotentemente.

Il 3 Marzo l’episodio legato al brutale pestaggio di Rodney King, camionista afroamericano, da parte di quattro poliziotti bianchi, aveva creato molta tensione sociale. Ed anche durante i playoffs NBA la situazione sembrava sempre sul punto di esplodere. Hodges voleva dare un messaggio forte, cercando di fare qualcosa in cui credeva.

Finals tra i suoi Chicago Bulls e i Los Angeles Lakers, sapendo che la sfida nella sfida tra Jordan e Magic Johnson avrebbe attirato l’attenzione del paese, chiese alle due stelle della serie, e capitani delle squadre, di scioperare, in pratica, spostando di un giorno l’inizo delle Finals. Non ottenne le risposte che avrebbe voluto avere. Magic rispose che stava chiedendo qualcosa di troppo estremo.
Ma Hodges, a sua volta, disse al #32 giallo viola che quello che stava succedendo alla loro gente era da considerarsi estremo, e che si doveva fare qualcosa. La risposta di Jordan fu anche peggiore. “Tu sei un pazzo”, gli urlò in faccia. La guardia ex Clippers incassò, ma decise che non avrebbe mollato la presa. I Bulls vinsero quel titolo, che lui dedicò ai discriminati.

Poi si arrivò al 1 Ottobre 1991. I Bulls campioni NBA vennerò ricevuti alla Casa Bianca, da George Bush padre. Tutti Elegantissimi, in giacca e cravatta. Due cose spiccarono tra tutte: l’assenza di Michael Jordan e la presenza di Craig Hodges, che decise di indossare il dashiki, tunica bianca originaria dell’Africa occidentale, con copricapo e scarpe bianche anch’esse. Questo modo di vestire “eccentrico” attirò l’attenzione del Presidente, che chiese al ragazzo da dove venisse, parlando come se davanti a lui ci fosse uno straniero.

Hodges rispose che lui veniva da Chicago Heights, Illinois. Phil Jackson capì che la situazione avrebbe potuto degenerare, per cui spiegò a Bush Sr. che quello era il miglior tiratore della squadra a nome Craig Hodges. Venne consegnato un pallone a Hodges, che nel giardino della casa bianca fece un clinic di tiro. Da otto metri infilò nove canestri consecutivi, con la sua tunica bianca svolazzante e senza perdere il copricapo. Finito qui? No, perché il vincitore della gara del tiro da tre punti aveva un altra cosa da fare.
Consegnò una lettera di otto pagine al Presidente, in cui lui denunciava le condizioni dei neri americani, con l’esempio della città di Chicago, dove all’epoca il 32% degli Afro Americani viveva sotto la soglia di povertà, definendosi discendente di schiavi. Ma nella stagione successiva i problemi di Hodges crebbero ulteriormente. I suoi screzi con Jordan aumentarono.

Alla guardia nata a Chicago pareva impossibile che un uomo nella posizione di MJ facesse e dicesse poco per la sua comunità. Cercò di convincerlo ad uscire dal contratto con la Nike per creare una sua linea personale, con i cui proventi aiutare le comunità nere, ricevendo una risposta negativa. E durante le Finals del 1992 tra i Bulls ed i Portland Trail Blazers successe la cosa che segnò, probabilmente, la fine della carriera NBA di Hodges. Il 29 Aprile 1992 i quattro poliziotti responsabili dell’aggressione a King un anno prima vennero assolti.

A Los Angeles ed in quasi tutti gli States scoppiarono violenti rivolte. E dopo gara 2 di quelle Finals Hodges decise di dire la sua, e tra le cose che dichiarò, chiare furono le critiche a Michael Jordan, reo di non essersi schierato in nessun modo a sostegno di King. L’intervista fece molto rumore. I Bulls vinsero il titolo, ma Hodges non ebbe tempo di festeggiare. Alla fine di Giugno venne tagliato.
Nessuno nella lega si fece avanti per offrirgli un contratto. Vennero messe in giro voci che sostenevano che il taglio fosse stato deciso da coach Jackson per le scarse attitudini difensive del giocatore. A nulla valsero le smentite del coach. Carriera NBA finita.
Hodges venne a giocare in Italia, a Cantù, una stagione, un anno in Turchia, con vittoria del campionato, e altre due stagioni in leghe minori. Poi l’anonimato cestistico ma non quello sociale, fatto delle cose per cui era ed è conosciuto. Fino al 2005, quando Phil Jackson lo chiama a fare l’assistente, specie per le meccaniche di tiro, ai Lakers.

Con altri due titoli vinti. Poi nel 2011, con il ritiro di coach Zen, Hodges ha deciso di tornare a casa, nella sua Chicago, dove è diventato l’head coach della High School dove tutto era iniziato. E recentemente ha fatto parlare di se dopo l’uscita di “The Last Dance”, dicendosi sorpreso, ma non tanto, di non essere mai stato nemmeno menzionato da MJ durante l’intera serie. Ma nella lega tanti ritengono che Jordan ed il suo agente, David Falk, furono i responsabili della fine della carriera di Hodges.

Arrivederci alla prossima puntata

P.S
Piccola curiosità, Hodges nel 1991 rischiò la vita in quanto vittima di un aggressione perpetratagli dalla allora moglie che lo cosparse di benzina mentre stava facendo rifornimento ad una stazione di servizio, cercando di dargli fuoco, senza riuscirvici.


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